Dislessia, un papà inventa il tablet per la scuola

Marco è un papà che poco meno di un anno fa scopre di avere un figlio dislessico, ovvero affetto da un disturbo specifico dell’apprendimento (dsa). Non avendo dimestichezza con l’argomento, si mette a leggere, studiare, capire. E scopre che questo disturbo colpisce quattro bambini su cento nel mondo e che ancora se ne parla poco, soprattutto per la parte tecnologica e di software di supporto. Da qui, un’idea rivoluzionaria: realizzare un tablet, completo di hardware e software, a sostegno della dislessia disegnato per essere utilizzato fin dalla scuola primaria.

Questo padre racconta la sua bellissima storia a Panorama.it. “Dopo la scoperta della dislessia di mio figlio di nove anni, ho cercato di capire la situazione, con un approccio ingegneristico tipico del mio lavoro, e avere un quadro di quali strumenti potessero risultare utili ai bambini di tal genere – dice Marco Iannacone -. Il pc mi sembrava particolarmente complesso, così  è nata l’idea del tablet che ha riscosso un tale entusiasmo da parte degli specialisti che lo seguivano da spingermi ad autofinanziarne lo sviluppo software, identificare un produttore hardware in modo da poter fornire una soluzione completa ad un prezzo ragionevole a tutte le famiglie che ne avessero avuto bisogno”.

Il tablet si chiama “Edi Touch” (“mi piaceva Edi, che è l’assistente di Archimede Pitagorico”, racconta Iannacone) ed è il primo tablet appositamente studiato per un uso scolastico. La sua interfaccia ed i principali programmi sono stati realizzati con il contributo di logopedisti e ricercatori universitari nell’ambito dei disturbi dell’apprendimento. “Un versatile ebook con sintesi vocale permette di leggere libri scolastici e di narrativa, la calcolatrice parlante rappresenta i calcoli nella modalità in colonna e la funzione del parental control offre all’insegnante e ai genitori la scelta di quali applicazioni siano accessibili al bambino”, aggiunge Iannacone -. Dopo una serie di beta test, partiremo con la prima disponibilità in alcune scuole primarie a settembre, in tempo per l’inizio della scuola”.

“Edi Touch” costa 350 euro, compreso di hardware e software. E tutto autofinanziato dall’ingegnere, che attende di concretizzare i tanti contatti avuti con ministeri, enti scientifici, associazioni di sostegno per ottenere un finanziamento al suo meritorio lavoro. Fino a quel momento, si va avanti con passione e con l’aiuto di tanti sviluppatori di hardware e applicazioni. Il tablet è acquistabile via internetsull’apposito sito creato da Iannacone,  dove viene offerta la possibilità, a chi volesse, dipartecipare ad un’attività di beta test al fine di perfezionare lo strumento prima della versione definitiva. Anche su web l’adesione è stata entusiasta con oltre 100 mila contatti da tutto il mondo in un paio di mesi, molti apprezzamenti su facebook, e twitter e centinaia di richieste di partecipazione alla beta. “Ricevo oltre 80 mail al giorno per informazioni sul tablet. A qualcuno che pensa che questo strumento possa sostituire il grande lavoro dei logopedisti e degli specialisti dico di desistere perchè il mio non è un prodotto “miracoloso” – dice il papà inventore -. Il mio obiettivo è di fornire uno strumento semplice che consenta ai bambini un accesso semplificato alle informazioni di cui hanno bisogno”.

La sperimentazione continua e un gruppetto di esperti (il mio “comitato scientifico” li definisce Iannacone) è al lavoro per migliorare le prestazioni del tablet. Intanto, il primo a godere dell’invenzione è suo figlio, che sta facendo un grande lavoro sulla parte riabilitativa, ma usa spesso il tablet. “Vorrebbe sempre usarlo perchè a quell’età è una grande scoperta, ma come tutti i dislessici non deve mai dimenticare l’aiuto offerto dagli insegnanti e dagli specialisti”, conclude il papà.

Tecnologia sì, ma sempre a sostegno del lavoro umano e delle tecniche tradizionali.

«Niente maturità, è dislessico» Si presenta da privatista e passa (da ilgiornale.it)

È il giorno dei risultati della maturità. Andrea è davanti ai tabelloni ma non osa quasi farsi largo tra la calca dei compagni. «E se è andata male?» gli pulsa il cuore in gola. Eppure il tema, la tesina, l’orale…no, dai che è andata bene. Promosso. Il voto è 64 centesimi, ma vale come un cento. Già perché Andrea, studente del liceo artistico di Busto Arsizio, ha alle spalle un percorso ad ostacoli piuttosto complicato. Lui, 18 anni, soffre di dislessia e ha difficoltà a scrivere e prendere appunti. Tuttavia il suo caso, seppur diagnosticato fin dalle scuole medie, non risulta tra i più gravi e quindi al liceo non gli viene affiancato nessun insegnante di sostegno. Deve cavarsela da solo: qualche professore gli va incontro, qualche altro no. Il suo piano di studi personalizzato, tra l’altro, viene avviato solo lo scorso gennaio, con il primo trimestre già chiuso. In classe Andrea si vede pure negare parecchie agevolazioni a cui avrebbe diritto: niente interrogazioni programmate, niente schede riassuntive delle lezioni, niente concessione del 20% di tempo in più per svolgere le verifiche. E quando il piano «su misura» viene approvato dal corpo docenti è ormai troppo tardi: le insufficienze sono tante e piuttosto gravi. Andrea non riesce a stare al passo con i programmi. A tre mesi dalla fine del liceo, sua mamma chiede un colloquio con gli insegnanti ma l’incontro viene negato. Un silenzio che significa solo una cosa: a parlare saranno i quadri di fine anno scolastico e, con tutta probabilità, il ragazzo non sarà nemmeno ammesso alla maturità.La madre del ragazzo ha i riflessi pronti e non perde tempo. Lo ritira da scuola e lo iscrive a un istituto privato. Mesi duri, di studio sodo e di tensione. Ma alla fine Andrea riesce a recuperare le materie insufficienti e ce la fa. Non solo, agli esami di ammissione alla maturità (scientifica e non più artistica) presenta anche programmi e materie integrative. Alla maturità arriva come privatista e sostiene tutte le prove con coraggio. Se avesse dato retta a chi avrebbe dovuto sostenerlo, avrebbe dovuto ripetere l’anno scolastico. Una bella rivincita, che non si conclude solo con il voto di maturità ma che si snoda anche in un esposto alla scuola che la famiglia di Andrea intende presentare nella speranza che non accadano più episodi del genere ad altri ragazzi. Nè al liceo artistico di Busto né in altre scuole.A fare seguito alla telenovela di Andrea è anche l’appello lanciato dall’Associazione italiana dislessia, perché gli istituti provvedano ad arruolare il giusto numero di insegnanti di sostegno e perché soprattutto lo facciano nei tempi giusti.In Lombardia ci sono infatti 50mila ragazzi che soffrono di dislessia, di cui oltre 6mila a Milano. Ma per loro avere un insegnante di sostegno in tempi ragionevoli non è facile. Le liste d’attesa per le visite (serve un certificato da presentare in presidenza) sono lunghe e, per accelerare i tempi, l’Ordine degli psicologi ha anche proposto di ridurre da tre a uno i medici che devono certificare il disturbo.

Psicoeducazione (da www.wikipedia.it)

Il termine “psicoeducazione” indica una metodologia introdotta nel campo delle scienza della salute mentale negli anni 80 del 1900, che punta a rendere consapevole la persona portatrice di un distubo psichico, e i membri della sua famiglia, circa la natura della patologia di cui è sofferente e circa i mezzi per poterla fronteggiare. Essa prende le mosse dagli studi sulle “famiglie ad alta emotività espressa”, condotte dal gruppo che faceva capo a Julian Leff della Social Psichiatry Unit di Londra sulle famiglie con un membro affetto da psicosi schizofrenica, tese a prevenire le ricadute e i nuovi ricoveri in reparto psichiatrico. Successivamente negli anni 90 del 1900 è stata estesa ad altri distubi psichici (distubi d’ansia, depressione e disturbi bipolari, disturbi dalla personalità) grazie soprattutto a Ian Fallon dell’Università di Awkland (Nuova Zelanda). In questa circostanza sono state anche applicati alcuni interventi, ricavati dall terapia cognitivo-comportamentale, tesi a ridurre lo stress e il carico familiare con il rischio di favorire la ricaduta, come le abilità di comunicazione efficace e l’abilità di risolvere i problemi. Più recentemente è stata utilizzata nei programmi intensivi per la prevenzione dell’esordio psicotico (McGorry a Melburne, Birchwood in Inghilterra, Hafner in Germania, Cocchi e Meneghelli in Italia). Lo stesso tipo di approccio è stato utilizzato nel “chronic care model” di Wagner per favorire l’autogestione delle cure nelle persone portatrici di patologie organiche croniche (come il diabete, l’ipertensione, lo scompenso cardiaco ecc.) con la formazione di un “paziente esperto”.