QUANDO BASTEREBBE UN BRICIOLO DI SENSIBILITÀ IN PIÙ

Lo confesso: sono arrabbiato.

All’ignoranza e all’insensibilità non ci si può abituare.

Metti una sera a cena al ristorante, con la tua famiglia. Porti naturalmente anche tuo figlio. Lo porti anche per fargli mangiare qualcosa di buono, per fargli gustare un po’ dell’allegria e della calda spensieratezza che solo il buon cibo in compagnia può regalare.

Tu – mamma – sai bene quanto per tuo figlio sia importante tutto questo. Lo sai fin da quel giorno, tanto tempo fa, in cui hai scoperto che è celiaco. Conosci bene quell’amara, quasi impercettibile, smorfia che gli appare ogni volta che deve mettersi a tavola, quando ricorda che – lui – non potrà mai essere allegramente spensierato di fronte ad un pasto. Per quanto imparerà a farci i conti e guadagnerà un po’ di serenità, dovrà sempre stare attento alle briciole, dovrà sempre chiedere gli ingredienti di ogni pietanza, dovrà spesso rifiutare perché – purtroppo – molti piatti contengono glutine.

Con questo nel cuore tu – mamma – porti tuo figlio al ristorante per gustarsi una bella pizza glutenfree. Sai perfettamente che non sarà mai abbastanza per ripagare le sue privazioni, ma sai anche che per lui sarà comunque speciale.

Ti godi il suo sguardo che scorre sul menu e sai che ha già l’acquolina in bocca mentre la cameriera annota l’ordine. Lo vedi fremere mentre attende che la sua pizza “speciale” sia pronta.

È tutto meraviglioso, puoi finalmente concederti di rilassarti e goderti la serata, quando improvvisamente tutto crolla.

La cameriera esce dalla cucina e grida a gran voce: “Dovè seduto il bambino problematico? La sua pizza è pronta!”

Ti si gela il sangue nelle vene. Ti senti morire mentre guardi tuo figlio che in un attimo diventa rosso fuoco sul viso, ti guarda e ti dice: “Mamma, vedi? Lo dicono tutti che sono un problema… anche la cameriera che non mi conosce”.

Signore e signori, la cena è servita. Peccato che il piatto forte sia insensibilità in salsa agrodolce, condita con un pizzico di ironia di troppo e decisamente farcita di troppa ignoranza.

Come psicologo sono sbalordito da tanta superficialità. Non sono celiaco e non posso realmente comprendere, ma mi lascia basito pensare che una persona possa essere talmente superficiale da definire “problematico” un bimbo celiaco, gridandolo per giunta davanti a tutti.

Voglio sperare che quel ristorante non fosse certificato AIC (e in tal caso, genitori, andate sempre nei locali certificati dall’associazione tramite la spighetta barrata!).

Ma se si dovesse scoprire che era pure certificato, mi auguro che i genitori di questo bimbo abbiano il coraggio di segnalare all’AIC questa violenza. Perché di violenza psicologica si tratta.

E’ una forma di avvelenamento emotivo che – forse – fa più male di quello “da glutine”.

Si parla molto di celiachia, ma troppo poco di celiachia nei bambini.

Perché un adulto può farsene una ragione: ha a disposizione strumenti psicologici per far fronte alla diagnosi e ai grossi cambiamenti nello stile di vita che la celiachia comporta. Ma per un bambino la celiachia è privazione, solo privazione e nient’altro che privazione.

Provate a pensare se – da bambini – vi avessero imposto di rinunciare di punto in bianco a caramelle, pane, pizza, pasta e merendine.

Certo, oggi si fa anche molto per creare dei “sostituti glutenfree” e questo è buono. Ma chi non è celiaco, spesso, questo non lo sa. E i bimbi celiaci si ritrovano frequentemente alle feste di compleanno a guardare gli altri mangiare, perché: “Scusami, non sapevo cosa comprare per te” oppure “Perdonami, mi sono completamente dimenticato che tu sei celiaco”.

Si discute molto di integrazione tra culture diverse, religioni diverse e abilità diverse, ma paradossalmente siamo ancora a questi livelli di insensibilità.

Nelle discussioni con i celiaci ho sentito spesso parlare di “ignoranza”. Io invece parlo di “insensibilità”.

Non mi aspetto che tutto il mondo della ristorazione cambi in funzione dei celiaci, altrimenti dovrebbe cambiare anche in funzione degli obesi, degli anoressici, dei vegani, degli intolleranti, dei disidratati, di quelli-che-mangiano-sciapo, di quelli-che-hanno-la-digestione-difficile e non se ne verrebbe a capo.

Basterebbe un briciolo di sensibilità in più. Quel tanto che basta a non far sentire problematico un bambino che – la celiachia – non l’ha scelta, ma se l’è ritrovata addosso.

Una opinione su "QUANDO BASTEREBBE UN BRICIOLO DI SENSIBILITÀ IN PIÙ"

  1. Una questione di sensibilità, certo; ma non solo. E’ evidente che in simili casi l’educazione domestica non basta, perchè essa crea visioni soggettive e parziali, che possono non accordarsi con quelle altrui e sono spesso sbilanciale nel rivendicare pretenziosamente sensibilità piuttosto che nel darne, in reciprocità.

    Basta leggere i post per vedere di quanti e quali insulti sia stata coperta quella cameriera; che è stata ripagata con peggiore moneta proprio da chi rivendicava educazione e sensibilità.

    La dimostrazione di un deficit culturale ormai strutturale, di dimensione sociale, appannaggio di una società pretenziosa che punta l’indice contro gli altri e dagli altri pretende tutto, meno che da se stessi.

    A fronte di simile scenario, l’auspicato briciolo di sensibilità in più, probabilmente, è un lusso che non aggiusta le cose nè dall’una, nè dall’altra parte.

    La formazione invece, forse, si, almeno dalla parte di chi offre il servizio, con un adeguato training sulle tecniche di comunicazione e relazione col cliente. A riguardo, sarebbe interessante se AIC incorporasse nel programma di formazione per i locali informati, anche una sessione sulle tecniche di comunicazione e relazione col cliente con problemi dietetici. Ancora meglio sarebbe se gli imprenditori decidessero di investire in formazione per i propri collaboratori, avendone tutto da guadagnare … se solo avessero quel briciolo di sensibilità in più …

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